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Il discernimento comporta due aspetti, uno esterno e uno interno

È oggi un termine molto usato nella Chiesa, ma non sempre a proposito. Il Papa lo usa spesso, ma non sempre viene capito. Sembra a volte un espediente per giustificare qualche trasgressione della legge di Dio, mettendoci la coscienza a posto. Il trionfo del soggettivismo nella Chiesa cattolica? No. Una grande tradizione sta dietro questa parola.

Il discernimento comporta due aspetti, uno esterno e uno interno, oggettivo e soggettivo, che corrispondono al fine del discernimento e al mezzo per ottenerlo:

L’aspetto oggettivo riguarda il fine, ossia la ricerca della volontà di Dio; può riguardare la scoperta della propria vocazione, oppure come comprendere la legge di Dio in una situazione concreta, il che a volte non è evidente. Però certamente Dio non si contraddice: se dice “non uccidere”, non può certo ammettere che in certi casi…

L’aspetto soggettivo è necessario perché in realtà la volontà di Dio in sé è chiara, ciò che oscura la sua percezione sono le passioni che turbano la nostra interiorità: paura, tristezza, angoscia, risentimento, lussuria, invidia, gola, superbia… per arrivare a discernere occorre superare i turbamenti che ci accecano. La parte soggettiva serve a purificare lo spirito, non a giustificare i propri capricci, che ci accecano.
La preghiera prolungata, la Parola di Dio  e la direzione spirituale sono lo strumento del discernimento.

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